FRANE Prima Guerra Mondiale: le vittime

19 Febbraio 2013

Tutti i diritti riservati: è vietata la riproduzione, anche parziale, dei contenuti (compresi files in pdf) e foto del sito senza l’autorizzazione esplicita del proprietario

In questa sezione analizzerò quei fattori non direttamente collegati alla guerra ma che causarono ugualmente molte vittime, cioè le maggiori frane avvenute durante la Prima Guerra Mondiale, indipendentemente dalla causa che le provocò (eventi atmosferici, mine, ecc…)

di Musi Silvia


FRANE 1915-1918

Frane in cui morirono un minor numero di soldati (raccolte in unico file):

  • Cima Lana, 17/04/1916
  • Costone mesola, 11/05/1916
  • Piccolo Lagazuoi, 20/06/1917
  • Forcella V, 26/09/1917

Frane 1915-1918


FRANE 1915-1918

Frane in cui morirono un maggior numero di soldati (elencate singolarmente):

  • SANTA FOSCA, 27 Maggio 1917
  • ROCCIONI LORA, 5 Settembre 1917

FRANA S.Fosca 27 Maggio 1917

 di Musi Silvia

Questa storia (come molte del resto) comincia per caso: l’aver trovato un caduto guastallese e un caduto novellarese con caratteristiche comuni, cioè stesso reparto di appartenenza e stessa data di morte….Mi sono quindi subito chiesta se avessero condiviso la stessa sorte, o se la data e causa di morte fossero state solo una coincidenza…

Ed è stato così che sono venuta a conoscenza della terribile frana che coinvolse il paesino di Santa Fosca, vicino a Selva di Cadore, nel 1917….

A Santa Fosca (nel 1917 ancora non proprio definibile paese, vi erano perlopiù caseggiati rurali e poche case) si trovavano alcuni soldati in attesa, probabilmente, di partire per il vicino fronte del Col di Lana, ed un ospedaletto da campo, il n.59 in cui vi erano ricoverati militari feriti; nella notte del 27 Maggio 1917 (alle ore 2.30/3.00) si staccò, dal vicino Piz del Corvo (m.2383), una frana di circa 4 milioni di metri cubi che, seguendo il corso del Rio Loschiesuoi, si riversò a valle. Le cause della frana furono in parte addebitate alle numerose nevicate che caratterizzarono l’inverno del 1916-1917. La notevole quantità di neve e roccia travolse tutto ciò che trovò sul cammino, seppellendo a Santa Fosca parte delle baracche militari, l’ospedaletto da campo, tre mulini, una latteria e una segheria con annessa la casa del proprietario; le vittime furono in tutto 28, tra cui 23 militari e 5 civili che non ebbero il tempo e la possibilità di mettersi in salvo.
Fu salvato soltanto un bimbo, Osvaldo Bellenzier, che stava in braccio alla mamma. Lo salvò un caporale degli alpini e fu affidato alle cure del parroco Don Vidale“.
Dal libro “Selva di Cadore notizie Storiche” del 1943

La frana che ostruì completamente la strada Pescul-Selva di Cadore. In primo piano militari che aiutano a cercare di recuperare qualche sopravvissuto

Santa Fosca subito dopo la frana…In primo piano a destra le baracche militari “sopravvissute”

 Foto tratte dal libro “Selva di Cadore come era” Editore Union Ladign da Selva, autore Lorenzo Dell’Andrea che ringrazio per avermi dato il permesso di pubblicarle….

Negli anni successivi venne eretta la Chiesetta Madonna della Neve, in memoria delle vittime…

Fatta interamente di legno, al suo interno vi sono lapidi commemorative dell’accaduto, con i nomi dei militari caduti….

Sulle lapidi vi sono i nomi di 20 militari morti nella frana (2 sono le lapidi, una del reparto di appartenenza, la seconda dei ricoverati nell’ospedaletto da campo)….mancano 3 soldati del reggimento Artiglieria da Fortezza…Con l’aiuto del Museo di Selva di Cadore e di Don Lorenzo Dell’Andrea, ho recuperato TUTTI i 28 nomi dei caduti, sia militari che civili: la loro storia e memoria non andrà dimenticata….

Una particolarità che mi ha colpito, pensando al soldato Scardova, mio concittadino di Guastalla e il suo “vicino” di Novellara, Bolondi: forse si sono conosciuti, quasi sicuramente dalla “parlata” tipica emiliana, forse si sono scambiati qualche parola, sentendosi più vicini a casa….forse dormivano vicini nella baracca militare. Hanno condiviso la stessa sorte e, apparentemente, sono gli unici 2 soldati che risultano ufficialmente sepolti al Sacrario Militare del Pocol….

IN MEMORIA DEI 28 CADUTI…

Caduti frana Santa Fosca

Nel 1953 un gruppo di persone costruì, sulle rovine della frana, un Istituto Ortopedico Elioterapico…

Ringrazio, per il grande aiuto fornitomi,  il Museo di Selva di Cadore ed il Signor Ermenegildo Rova per avermi fatto le foto della chiesetta e delle lapidi…Ringrazio anche Don Lorenzo dell’Andrea, per i dati civili e per avermi dato il permesso di pubblicare le due foto dal suo libro “Selva di Cadore come era”….Infine ringrazio Max di Cimeetrincee, per avermi aiutato con le informazioni sull’ospedaletto da campo….


FRANA Roccioni Lora (Pasubio) 5 Settembre 1917

I Roccioni prima della frana. Foto tratta dal libro “Batt. Aosta. Gli alpini di fronte al nemico, Roma 1935”

5 settembre 1917: la frana dei roccioni della Lora (Monte Pasubio)

di Leonardo Pianezzola

La guerra in montagna, combattuta dai nostri soldati nel periodo 1915-18, comportava diverse situazioni di pericolo aggiuntive alle consuete operazioni belliche. L’obbligatoria sistemazione di truppe e logistica in ambiente precario sottoponeva i soldati di entrambi gli schieramenti a rischi talvolta estremi, dovuti non solamente alla rigidità dei mesi invernali, ad esempio, ma pure alle peculiarità del territorio, ieri come oggi aspro e difficile da dominare. Tra gli innumerevoli episodi di sventure naturali che colpirono i soldati combattenti della Grande Guerra di montagna, degno di nota è l’evento verificatosi nel settore Cosmagnon del Monte Pasubio il 5 settembre 1917.

Il Pasubio, inizialmente diviso dal confine di stato precedente il conflitto, fu occupato interamente dalle truppe italiane nel primo anno di guerra. Con l’offensiva austroungarica nota come Strafexpedition, nel maggio-giugno 1916 fu parzialmente rioccupato dall’avversario. Fortunatamente, dal punto di vista italiano, la cima principale del massiccio – Cima Palon – e la sua immediata elevazione a nord – il Dente Italiano – rimasero saldamente in mano del Regio Esercito, minacciate, comunque, dalla rapida occupazione austroungarica della prospiciente cima nota come Dente Austriaco e della vasta area occidentale costituita dalla sottostante alpe di Cosmagnon. L’alpe così denominata è in realtà un piccolo altopiano posto a un’altitudine variabile tra i 1900 e i 2000 metri sul livello del mare. Al lato nord è delimitato dalla dorsale più elevata del Roite-Piccolo Roite; al lato est dalle più alte cime del massiccio (Dente Austriaco, Dente Italiano, Palon, Cogolo Alto), tale da costituire una posizione svantaggiata nei confronti di coloro che si fossero impossessati delle alture sopranominate. Il quadro va completato con gli altri due lati di quest’alpe grossomodo rettangolare, e cioè con i suoi limiti meridionali e occidentali, entrambi precipiti in direzione della Vallarsa. Il lato occidentale – tra Bocchetta delle Corde e la cima definita Sogi – strapiomba sulla Val di Foxi mentre il lato meridionale, il più esteso, precipita tra i Sogi e il cosiddetto Imbuto della Lora sulla Val di Piazza e la Val Prigioni, quest’ultima vera e propria forra precipite e dirupata.

Nel periodo 1916-1917 la situazione delle truppe italiane in questo specifico settore appariva tutt’altro che rosea. Nell’ottobre 1916, infatti, una rapida offensiva italiana aveva sì permesso la conquista dell’alpe di Cosmagnon puntando a rigettare le truppe avversarie oltre la dorsale del Roite e conquistando, di fatto, quasi tutta la parte sommitale del massiccio. Un precoce quanto inflessibile inverno, però, vanificò questo tentativo da parte italiana, bloccando di fatto ogni operazione da ambo le parti sino alla successiva primavera. L’inverno 1916-1917 fu particolarmente rigido e nevoso, sul Pasubio, causando un cospicuo numero di vittime in entrambi gli eserciti belligeranti. La situazione italiana, in particolare, nel settore del Cosmagnon garantiva il pieno possesso dell’alpe, ma in posizione svantaggiata rispetto alle postazioni avversarie. Se anche parzialmente si poteva contare sulla permanenza all’ala destra (Cogolo Alto-Palon-Dente Italiano) di truppe amiche, la zona dominante a nord e a nordest era completamente in mano austroungarica e ciò minacciava seriamente le prime linee italiane posizionate sull’alpe. Per questo motivo, sia durante l’inverno 1916-1917, sia nei periodi successivi, sul Cosmagnon i comandi italiani provvidero a dislocare solamente la truppa necessaria a mantenere le posizioni conquistate, mentre il grosso dei soldati era dislocato in posizioni vicine e, per forza di cose, più riparate. La posizione più vicina e riparata era sul rovescio dell’alpe, lungo i roccioni della Lora. Proprio sul margine superiore di essi erano state costruite linee di difesa che collegavano l’Imbuto dell’Incudine con i Sogi, posizione su roccia estremamente precaria con andamento est-ovest appena sotto la linea di cresta, tanto che, a detta dei testimoni dell’epoca, qualsiasi soldato che avesse avuto l’ardire di uscire anche solo per poco dalla trincea sarebbe stato facile bersaglio dei cecchini austriaci appostati lungo la dorsale del Roite. Poche decine di metri – verticali – più sotto gli italiani approntarono un’imponente sistema logistico a supporto delle linee soprastanti: comandi, baraccamenti e attendamenti popolavano la base dei roccioni della Lora, posizione efficacemente rifornita da diverse mulattiere militari che, al tempo, salivano dalla Val di Piazza, da Piano di Vallarsa attraverso la dorsale Stadel-Cherle-Passo del Lomo, nonché dal fondo di Val Prigioni e dalla Val di Fieno. Proprio queste posizioni, seppur defilate dal tiro austroungarico, si trovavano in posizioni alquanto precarie sotto il punto di vista della sicurezza, in quanto poste su terreno impervio ed estremamente delicato e precipite, minacciate d’inverno da frequenti valanghe e da enormi cornicioni di neve soprastanti e – soprattutto in primavera – dalle numerose frane da dilavamento che scuotevano questa fragile porzione del massiccio pasubiano.

Il 5 settembre 1917 tutto il versante sottostante i costoni della Lora era, come detto, occupato dai baraccamenti e dalle postazioni italiane. Alcune fonti ricordano come, in quel giorno, un bombardamento avversario scosse le prime linee poste sul bordo dell’alpe di Cosmagnon, in posizione immediatamente sovrastante i roccioni. Non è possibile stabilire se il bombardamento fu prima causa della tragedia o se questa già si fosse innescata nei giorni precedenti, dovuta a cedimenti strutturali degli strati di dolomia che contraddistinguono la zona, cedimento peraltro non infrequente, anzi pure periodico, ora come allora, in questo settore del massiccio. Va pure ricordato come, nel settore, numerosi lavori di mina e di scavo erano pure attuati da parte italiana al fine di ricavare postazioni e rafforzare e linee e non è detto che pure queste opere abbiano alfine contribuito all’innesco della tragedia. Di fatto, il 5 settembre, la montagna cominciò a dare qualche segno di cedimento, tramite rumori e vibrazioni che causarono l’inquietudine dei reparti ad essa sottostanti tanto che il Genio Militare – qui presente per i lavori di rafforzamento – istituì un cordone militare per impedire il transito dei soldati nel settore orientale dei roccioni, quasi a ridosso dell’Imbuto della Lora. La tragedia intuita avvenne puntualmente attorno alle ore 22,20-22,30 di quel 5 settembre: una gigantesca frana si staccò dalla dorsale dei roccioni, facendo scomparire e precipitare un’ampia porzione di essi verso la sottostante Val Prigioni. L’area interessata, prossima all’Imbuto e quindi alla via più diretta per raggiungere le prime linee, era quella dove si trovavano le baracche comando e un cospicuo numero di baraccamenti militari. L’enorme mole di detriti travolse numerosi soldati, trascinandoli per centinaia di metri verso il fondo di Val Prigioni. Vittima illustre dell’evento fu il colonnello Ernesto Testa-Fochi, ufficiale del 3° Reggimento Alpini, il quale, avendo trovato sbarrato il passo dal cordone istituito dal Genio, volle ugualmente raggiungere la sua baracca per recuperare del materiale rimanendo travolto dalla frana improvvisamente staccatasi dalla dorsale della Lora. L’ufficiale superiore, già decorato con tre medaglie d’argento al Valor Militare e due di bronzo, aveva fama d’essere invincibile. Si narra come, due giorni più tardi, recuperato il corpo del comandante, i suoi alpini ne salutarono la sepoltura affermando che “par copare el colonnello non bastava pallottole né bombe. Ghe voleva ‘na montagna” (per ammazzare il colonnello non erano sufficienti pallottole o bombe… ci voleva una montagna!).

Sulla destra il pezzo di costone mancante e la colata detritica che scende verso il fondo di Val Prigioni. Foto di Leonardo Pianezzola

A essere coinvolti nella tragedia furono i battaglioni alpini Aosta e Monte Levanna, alcuni reggimenti del Genio, reparti del VI Gruppo Alpino e qualche compagnia di mitraglieri. Il numero delle vittime di questo infausto evento non è tuttora sufficientemente determinato. Alcune fonti indicano un centinaio di vittime, altre addirittura duecento/duecentocinquanta. In realtà, da quanto sembra emergere dalle ricerche – ricerche tuttavia incomplete e suscettibili di lievi modifiche, data la complessità di verifica e i frequenti errori presenti negli atti – il numero di caduti coinvolti direttamente nell’evento sembra essere più esiguo. I numeri ufficiali, del resto, parlano di 25 morti, 40 feriti e 43 dispersi, cifre notevolmente inferiori a quanto diffuso da altre fonti. La recente ricerca condotta da Silvia Musi – pur con tutte le difficoltà del caso, dovute a scarsezza o incongruenza documentaria – ottiene un numero (provvisorio) di 55 vittime accertate, numero ovviamente suscettibile di aggiornamenti in itinere. L’elenco – qui in allegato – alfine non si discosta poi di molto dalle cifre ufficiali come risultano dal Diario Storico della 55° Divisione redatto il giorno successivo, il quale registra 108 perdite tra morti, feriti e dispersi. Se consideriamo come qualche disperso potrebbe essere stato ritrovato in vita e come qualche ferito si possa essere alla fine salvato, appare palese come il numero di vittime si vada a ridurre e avvicinare all’esito della ricerca qui condotta.

Senza tuttavia desiderar inutilmente pontificare su cifre e matricole, invitiamo i lettori che avranno l’occasione di transitare lungo la strada che da Pian delle Fugazze porta a Rovereto a sostare, per un attimo, di fronte a una lapide, poco visibile all’automobilista distratto, posta sul fondo di Val Prigioni al Ponte del Diavolo. Essa ricorda, anche retoricamente, il sacrificio di quei soldati:

DALLE IMMINENTI VETTE NELLA FONDA NOTTE / RUINANDO A VALLE I ROCCIONI DELLA LORA / TUTTO TRAVOLSERO / RIPARI APPOSTAMENTI E VITE / V SETTEMBRE MCMXVIII / PIU’ CHE DUECENTO / ALPINI – FANTI – SPECIALISTI / MARTIRI IGNOTI / HANNO QUI LA LORO TOMBA / SCOPRITI O VIATORE E ASCOLTA / DA QUESTA RUINA BEVERATA DI SANGUE / VIENE UNA VOCE / ITALIA! ITALIA!

Numero di vittime e data sono errati. Non ha importanza: sono ben altri gli errori di cui deve rendere conto l’umanità di fronte a queste giovani vite spezzate.

5 settembre 1917: le vittime

di Musi Silvia

Per anni si è sempre tramandato, nei libri, epigrafi e altro, che in questa tragedia persero la vita quasi 250 militari. Non potevo non cominciare a studiare l’argomento: così chiesi al mio amico Leonardo Pianezzola, disponibile ed esperto  conoscitore di questi luoghi, di farmi un quadro generale storico e geografico sull’argomento. Io nel frattempo volevo riuscire nell’intento di dare un nome a tutte le vittime di questa tragedia. Sapevo che sarebbe stata una impresa quasi impossibile, per i soliti motivi: troppo tempo passato, mancanza di documenti e, non da ultimo, il fatto che alcuni corpi di soldati non furono mai trovati. Ma mi ci sono messa d’impegno e, con la collaborazione di alcune persone, sono riuscita a compilare una lista, cercando di ognuno l’atto di morte e/o il Foglio Matricolare; non è purtroppo una lista completa per i motivi precedentemente elencati, ma spero, col tempo, di ottenere ulteriori informazioni.

Ricordare questi caduti era il mio impegno e, con questa mia ricerca, spero di esserci riuscita; chiunque ora si avventurasse in quei luoghi, potrà dedicare un pensiero anche a solo uno di loro, conoscendo i loro nomi e le loro storie:

Caduti frana Roccioni Lora

Desidero ringraziare le persone che hanno contribuito a questa ricerca: Leonardo Pianezzola, Amerigo Pedrotti, Gian Luca Chiericati, i Comuni contattati e il forum di Cimeetrincee.

4 thoughts on “FRANE Prima Guerra Mondiale: le vittime

  1. ennio bombonato says:

    Stavo cercando di documentarmi sulla frana dei Roccioni di Lora (Pasubio) e sono finito per puro caso in questo sito.
    E’ sorprendente a dir poco…..!!!!
    Non riesco a credere a quello che sto guardando.
    Qual’e’ lo spirito che anima la sua ricerca……???
    Per fare una cosa del genere ci vuole tempo, tempo, tempo e passione, passione ed ancora passione.
    Lei sta veramente rendendo un grande onore a tutti quei poveri ragazzi di ambo le parti che hanno sacrificato la loro vita, se non altro, per un mondo migliore.
    La memoria e’ una fiamma che deve essere alimentata instancabilmente.
    Lei lo sta facendo in modo esemplare ed encomiabile.

    ennio bombonato

    • Silvia says:

      Buongiorno…
      Grazie innanzi tutto delle belle parole, fanno più che piacere dopo tanto lavoro!Un collegamento tra il mio bis-nonno e la frana dei Roccioni non c’è, se non per il fatto che parliamo sempre di Prima Guerra Mondiale. L’aver creato un blog a ricordo del mio bis-nonno è solo stato un punto di partenza per raccogliere storie e fare ricerche a tutto campo sulla prima guerra mondiale, con particolare cura ai caduti e alle storie poco conosciute o trattate.
      Per rispondere all’altra sua domanda, la lascio alle parole dell’amico ed esperto Leonardo Pianezzola, che ha curato il contesto storico e geografico dell’articolo:
      Sì, effettivamente, la 44° Divisione comandata dal generale Papa contrastò efficacemente nel 1916 gli attacchi austroungarici e ad essa si trovava aggregata la Brigata Liguria, divenuta poi famosa come la Brigata che non perse mai un metro di terreno. Al tempo della frana della Lora, però, il generale Papa aveva lasciato da tempo il comando della Divisione ed egli si trovava sull’altopiano della Bainsizza dove trovò la morte il 5 ottobre 1917 (colpito da cecchino austriaco). Sugli eventi del 1916-17 in Pasubio consiglio la lettura di “Un anno sul Pasubio” di Michele Campana, recentemente ristampato
      Saluti cordiali
      Silvia

      • ennio bombonato says:

        Mi creda sono tutt’ ora ancora piacevolmente sorpreso dall’aver scoperto questo blog e la sua attenzione e dedizione nel cercare storie dei caduti e comunque storie poco conosciute, a mio modesto parere, le puo’ accreditare solamente grande riconoscenza ed ammirazione a tutti i livelli. Direi, senza ombra di dubbio, che la peculiarita’ di questo blog sta nel suo modo di trattare, semplice e disinteressato proprio perche’ lontano dai grandi clamori.
        Lei sa molto bene che questi sono gli anni del centenario della Grande Guerra (2015-2018)
        Ci si ricorda del sacrificio di questi poveri ragazzi solo in occasione del centenario….!!!
        Il 4 novembre dovrebbe essere una festivita’ di grande risonanza, come il 25 aprile o il 1 maggio, che dovrebbe essere ricordata per ovvie ragioni sopratutto in tutte le scuole di ogni ordine e grado, aggiungo con visita obbligatoria al Sacrario di Redipuglia.
        C’e’ un’ultima cosa ma mi rendo conto che si tratta di una lotta impari.
        Il 24 ottobre del 1917 il fronte italiano cede davanti a Caporetto, piu’ precisamente a Volzana.
        E’ la rotta, il terrore, lo scompiglio piu’ terrificanti nella storia militare italiana e cosa piu’ terribile le terre del Veneto al di la’ del Piave e del Grappa e tutto il Friuli subiranno tristemente e tragicamente l’occupazione austro-tedesca per un anno intero con conseguenze che puo’ ben immaginare.
        Il giorno dopo 25 ottobre, il generalissimo Cadorna nessuna esperienza di guerra combattuta e a dir poco personaggio imbarazzante, emanera’ il famoso bollettino di guerra con cui tutta la 2^ armata sara’ bollata d’infamia: “reparti della 2^ armata ignominiosamente arresisi al nemico….” (uno stralcio)
        marchio che tutt’ora pesa ed incombe su tutti quei poveri ragazzi.
        Lei crede che sia possibile fare qualcosa per riabilitarli e rendergli giustizia….???
        Ho scritto persino al Presidente della Repubblica.
        Mai risposto….!!! Una Vergogna…!!!
        Documento salvato in Word il 13-10-2016.
        Se desidera le invio con successivo commento copia della lettera.

        cordiali saluti
        ennio bombonato

      • ennio bombonato says:

        Con la presente volevo un po’ condividere l’opinione del suo amico Pianezzola riguardo alla Brigata Liguria.
        C’e’ un motivo, tutto sommato abbastanza semplice, che non sfugge certo ad un acuto ed appassionato osservatore del motivo che ci consente di affermare che la Brigata Liguria fosse un’unita’ particolarmente combattiva.
        La presenza assidua e costante in prima linea del proprio comandante il Generale Achille Papa da tanti suoi soldati considerato un vero e proprio padre adottivo e questa considerazione e’ confermata dal fatto che, come lei giustamente ricorda, il Generale Papa cadra’ colpito a morte da un cecchino austriaco sul carso proprio mentre si trovava in prima linea con i suoi soldati.
        Le spoglie del povero Generale riposano nel Sacrario di Oslavia nei pressi di Gorizia con molti dei suoi soldati.
        Mi piange il cuore a pensare in quale stato versi il luogo suddetto mentre i cimiteri inglesi sull’altopiano di Asiago: Barenthal, Magnaboschi, Castelletto, Granezza, Boscon esprimono veramente il sentimento di affetto e di riconoscenza che un popolo ed una nazione devono come giusto tributo ai propri figli.
        Ne consiglio vivamente la visita i luoghi sono a dir poco suggestivi.
        La Brigata Liguria all’inizio delle ostilita’ venne inviata sul Carso ma quando i primi reparti d’assalto austro-ungarici all’alba del 15 maggio 1916 (Strefexpedition) scatteranno sul passo Coe, che collega l’Altopiano di Folgaria con l’Altopiano di Tonezza, alla conquista delle posizioni italiane la Brigata insieme a tante altre verra’ destinata all’Altopiano di Asiago perche’ il pericolo di uno sfondamento della linea difensiva italiana stava diventando giorno per giorno sempre piu’ grave tanto che sulla linea di massimo arretramento monte Pau’, Zovetto , Lemerle, Kaberlaba, Valbella il poderoso cuneo austrougarico si spezzera’.
        Per ricordare fatti e storie poco conosciute lo storico Piero Pieri nel suo libro ci ammonisce come sia doveroso ricordare l’ operato del Capitano Fiastri ufficiale del genio a cui deve essere riconosciuto il grande merito di aver saputo gestire e pianificare, attraverso il traffico delle tradotte dal Carso agli Altopiani, lo spostamento di enormi quantita’ di materiali, animali e uomini in tempi estremamente brevi per portare rinforzi alle oramai esili truppe assediate. Come racconta nel suo libro Karl Schneller, il pianificatore della Strafepedition, ” Manco’ un Soffio ” edito da Mursia.
        Su monte Zovetto la Brigata Luguria con il suo comandante scriveranno pagine di grande valore e eroismo. Il Generale Papa durante tutta l’offensiva rimarra’ in trincea con i suoi uomini a schivare i colpi terrificanti del mortaio Skoda da 305 mm pur di dirigere personalmente le operazioni.
        Appena fermato il nemico ad Asiago la Brigata sara’ inviata in fretta e furia nel settore che stava diventando ancora piu’ pericoloso Il Pasubio andando ad alimentare quella che sarebbe diventata la gigantesca 44^ divisione al comando del generale Graziani.
        Anche in questa occasione la Brigata Liguria supportata poi dall’arrivo di altre unita’ arrivo’ appena in tempo a dar man forte al povero tenente Damaggio che stremato, dalla selletta omonima, aveva tenuto testa ad una marea dilagante di nemici fino al sopraggiungere dei rinforzi. Si narra che in una mezza giornata avesse sparato 40.000 colpi con le sue mitragliatrici.
        Alcune memorialistiche ricordano con chiarezza che le linee italiane divelte e travolte letteralmente franavano sopra e sotto il Pasubio.
        Anche in questo caso il sostegno della Liguria con altre unita’ fu determinante per le sorti della battaglia.
        Una volta compiuto egregiamente il proprio dovere e stabilizzata la linea del fronte in quel settore, per chiudere il cerchio, la 44^ Divisione venne gradatamente smantellata per lasciare posto alla 55^ e molto probabilmente diverse unita’ che l’avevano costituita e rinforzata furono rispedite ai luoghi di provenienza compresa la Brigata Liguria che ritorno’ alla sua originaria destinazione, il Carso.

        cordiali saluti
        ennio bombonato

Rispondi a ennio bombonato Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *